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TESTO AGGIORNATO AL 11 DICEMBRE 2006
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Incidente sul lavoro recentemente verificatosi in uno stabilimento industriale di Campello sul Clitunno - n. 2-00249)
PRESIDENTE. La deputata Sereni ha facoltà di illustrare l'interpellanza Franceschini n. 2-00249 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1), di cui è cofirmataria.
MARINA SERENI. Signor Presidente, colleghi, ringrazio anzitutto il Governo rappresentato nella persona del sottosegretario Rinaldi; per illustrare l'interpellanza interverrò molto rapidamente.
Come è noto, il 25 novembre scorso si è verificato un gravissimo incidente nello stabilimento Umbria olii di Campello sul Clitunno.
Il bilancio di quell'incidente è stato drammatico; quattro vite umane. Quattro lavoratori hanno perduto la vita nello stabilimento e si è avuto un grave danno ambientale - i cui effetti non sono ancora pienamente calcolabili - dovuto alla fuoriuscita di materiale oleoso dall'impianto in una zona particolarmente fragile sotto il profilo idrogeologico e di grande pregio ambientale.
Devo dare atto al Governo di aver marcato immediatamente una forte attenzione per questa drammatica vicenda, con la presenza del ministro Damiano già nella giornata di domenica 26 novembre.
Con questa interpellanza urgente il gruppo dell'Ulivo ha inteso sollevare due ordini di problemi. Il primo, di carattere più generale, e in realtà già oggetto dell'informativa che il Governo ha reso a questa Assemblea nella parte antimeridiana della seduta, riguarda il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. Mi riferisco alla necessità di mettere in campo provvedimenti in tempi rapidi affinché le condizioni di salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro siano più garantite.
Abbiamo chiesto al Governo di conoscere quali siano i provvedimenti e in quali tempi intenda realizzarli per offrire un quadro giuridico che appresti maggiori tutele per la salute e la vita dei lavoratori; abbiamo chiesto, altresì, quali strumenti di coordinamento e di monitoraggio sia possibile mettere in campo affinché le diverse amministrazioni interessate - Ministero della salute, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero del lavoro e della previdenza sociale - possano coordinarsi ed essere più efficaci sui versanti, appunto, del monitoraggio e della prevenzione.
Il secondo ordine di questioni che l'interpellanza pone è più legato alla dimensione umbra e locale di questo tragico incidente. Anzitutto, chiediamo al Governo di sapere quali elementi di conoscenza l'Esecutivo possieda sulla dinamica dell'incidente e sui fatti accaduti in quel drammatico sabato, nonché riguardo alla valutazione degli effetti ambientali prodottisi nella zona e delle eventuali conseguenze sulla salute dei cittadini. Quindi, ponevamo un'ulteriore questione, invero già risolta; chiedevamo, infatti, con l'interpellanza se non sussistessero le condizioni per il riconoscimento dello stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, il che mi risulta sia già avvenuto in occasione di un recente Consiglio dei ministri.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, Rosa Rinaldi, ha facoltà di rispondere.
ROSA RINALDI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Signor Presidente, l'ennesimo grave incidente sul lavoro avvenuto presso l'oleificio di Campello sul Clitunno, in cui hanno perduto la vita tre lavoratori ed il titolare dell'azienda, rappresenta per il Governo una ragione in più per ribadire l'impegno sul delicato e drammatico argomento della salute e della sicurezza sul lavoro.
In questo caso - come hanno avuto modo di verificare direttamente le autorità competenti al più alto grado, immediatamente Pag. 86accorse e presenti sul posto, nelle persone dei responsabili della direzione provinciale del lavoro, accompagnati dagli ispettori del nucleo comando carabinieri dell'ispettorato del lavoro - non si tratta di lavoratori irregolari né di un'azienda sconosciuta all'economia del territorio. Le più alte cariche dello Stato e le rappresentanze politiche locali che si sono recate dopo poche ore sul posto per un primo vertice si sono fatte interpreti del cordoglio e della solidarietà di tutte le istituzioni della Repubblica con i familiari ed i colleghi delle vittime. Sulla dinamica dell'incidente e le sue cause sono in corso ulteriori accertamenti e approfondimenti disposti doverosamente dalle competenti autorità.
Al momento, è noto che si è trattato dell'esplosione di uno dei ventiquatttro silos, della capacità di 500 metri cubi ciascuno, che ha provocato un devastante incendio coinvolgendo poi ulteriori silos.
Il Dipartimento della protezione civile, per quanto di competenza, ha seguito costantemente l'emergenza tenendosi in contatto con la prefettura - l'ufficio territoriale del Governo di Perugia - e con le amministrazioni locali.
Sul posto sono intervenute immediatamente le componenti locali del servizio nazionale di protezione civile ed è stato allestito un centro operativo di emergenza presso il comune.
Come rilevato dagli onorevoli interpellanti, i vigili del fuoco si sono attivati immediatamente per lo spegnimento dell'incendio grazie all'intervento di unità provenienti anche dalle province limitrofe.
Sono state, inoltre, tempestivamente predisposte la chiusura del sistema fognario a servizio della zone industriale e la realizzazione di argini in terra a protezione dell'area limitrofa all'Umbria olii e a valle della stessa in corrispondenza della strada statale n. 3 Flaminia.
Al fine di tamponare ed assorbire la fuoriuscita della massa oleosa, lungo i circa 300 metri di via Agnelli sono stati creati argini di 150 metri cubi di terra.
L'ARPA, nel contempo, ha proceduto con successo all'individuazione di due punti strategici lungo il fiume Clitunno ove collocare opportune chiuse atte ad intercettare e bloccare la sansa pochi attimi prima che li raggiungesse.
L'incendio è stato domato nelle prime ore della giornata successiva, domenica 26 novembre, ed ha coinvolto, danneggiandole, alcune abitazioni circostanti.
Si precisa che l'industria, che attualmente è sotto sequestro ed è stata dissequestrata solo per consentire le indagini relative alla dinamica dell'esplosione - peraltro ancora non certa - non rientra tra le tipologie di industrie a rischio di incidente rilevante ai sensi del decreto legislativo n. 334 del 1999 e successive modifiche, e pertanto non è obbligatorio redigere un piano di emergenza esterna da parte della prefettura ovvero dell'ufficio territoriale del Governo.
Conclusa la prima fase di emergenza, si sta attualmente procedendo al ripristino ed alla quantificazione dei danni.
Al fine di non aggravare la situazione di stallo determinatasi e permettere quindi alle aziende locali di riprendere le attività, si è provveduto rapidamente a rifunzionalizzare il sistema fognario della zona industriale e a riaprire la viabilità.
Per l'opera di risanamento ambientale, che richiederà l'esecuzione di ulteriori operazioni di messa in sicurezza operativa, interventi di monitoraggio delle falde, caratterizzazione dei terreni nonché attività di smaltimento, la regione ha stimato un costo pari a circa 7 milioni di euro.
Si aggiunge, inoltre, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto alla competente procura della Repubblica la trasmissione degli atti accessibili e delle consulenze tecniche che dovessero essere disposte in relazione all'eventuale instaurando procedimento penale al fine di un'eventuale azione di risarcimento danni.
Si fa altresì presente che il 28 novembre 2006 la regione Umbria ha inoltrato al Dipartimento della protezione civile istanza per la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi della legge n. 225 del 1992.Pag. 87
Al di là dei doverosi interventi di ripristino e di recupero, si è deciso - come la stessa interpellante accennava dianzi - di concedere lo stato di emergenza, che è già stato deliberato dal Consiglio dei ministri.
Occorre peraltro chiedersi cosa si può fare di più per dare effettività ed efficacia ad un poderoso apparato normativo, di cui pure il nostro paese dispone, a presidio della salute e della sicurezza dei lavoratori.
In proposito, come già autorevolmente evidenziato in una riunione dal Vicepresidente del Consiglio, onorevole D'Alema, il Governo ha un programma che ha già cominciato ad attuare. Questo programma è fatto di misure concrete: anzitutto, combattere l'illegalità e lo sfruttamento in ogni sua forma colpendo le molte elusioni che sono alla base di un ambiente di lavoro meno sicuro e più esposto agli infortuni ed alle malattie professionali. Con il pacchetto sicurezza contenuto del cosiddetto pacchetto Visco-Bersani si sono introdotte norme severe che rappresentano un vero e proprio punto di svolta nella gestione della sicurezza nei settori più esposti (segnatamente l'edilizia). In tal senso, si sono ottenuti dei primi risultati concreti, a partire dal sequestro di diversi cantieri e della loro riapertura con la regolarizzazione dei lavoratori.
Nel codice degli appalti, i ministri Di Pietro e Damiano hanno concordato l'inserimento di specifiche norme che evitino le approssimazioni e le indebite economie che ricadono sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici, ed inducano al pieno rispetto della legge e dei contratti collettivi.
Con la finanziaria in corso di approvazione si stanno introducendo norme che combattono il lavoro nero ed inaspriscono le sanzioni per i datori inadempienti accanto a misure che premiano il rispetto delle regole mediante una riduzione degli oneri assicurativi Inail per le aziende virtuose.
Sempre nella legge finanziaria si ridefiniranno i parametri di calcolo del cosiddetto «danno biologico» per una più giusta e migliore valutazione degli effetti delle malattie e degli infortuni sulla salute delle vittime.
Nelle prossime settimane il Governo presenterà il disegno di legge delega per il riordino di tutta la disciplina della salute e della sicurezza dei lavoratori: i principi cardini sono quelli europei perché noi vogliamo un'Italia più civile e legale, in cui siano rispettate le regole ed attraverso il rispetto delle regole sia sostenuta una buona e forte economia nazionale anche se, naturalmente, l'apparato normativo - come abbiamo visto - da solo non basta. Noi, contemporaneamente, stiamo procedendo all'assunzione di numerosi ispettori del lavoro e tecnici: vale a dire ingegneri e quant'altro.
A gennaio del prossimo anno, il Governo lancerà una grande iniziativa nazionale sulla salute e nella sicurezza dei lavoratori: lo farà con il sostegno della Presidenza della Repubblica che incessantemente ha incoraggiato un'azione delle istituzioni più vigile ed efficace rispetto al passato. Sarà questa l'occasione per affrontare anche l'altro grande capitolo di questo problema che è quello della cultura della sicurezza che deve sempre di più diventare patrimonio diffuso e comune a partire dalle generazioni più giovani.
PRESIDENTE. L'onorevole Sereni ha facoltà di replicare.
MARINA SERENI. Signor Presidente, intendo ringraziare il Governo per questa risposta e mi dichiaro soddisfatta per i contenuti specifici legati alla vicenda di Campello sul Clitunno, ma anche per gli impegni che, più in generale, il Governo ha elencato circa le misure, i provvedimenti, che intende assumere per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta di provvedimenti importanti e a nome del gruppo dell'Ulivo dichiaro, sin d'ora, la nostra piena disponibilità a far sì che questi provvedimenti, quando arriveranno all'attenzione della Camera, seguano un iter spedito e positivo.
Pag. 88(Rinvio interpellanza urgente Cordoni - n. 2-00098)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori, sulla quale ha convenuto il Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Cordoni n. 2-00098 è rinviato ad altra seduta.
(Recente accordo di cooperazione bilaterale tra l'Alleanza atlantica e Israele - n. 2-00220)
PRESIDENTE. L'onorevole Burgio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00220 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, questa interpellanza si riferisce ad una situazione che ci pare problematica e, forse, anche generatrice di pericoli e di contraddizioni, in uno dei teatri più critici della regione del Medio Oriente.
Lo scorso 16 ottobre, nella sede del comando NATO di Bruxelles, è stato siglato un accordo di cooperazione bilaterale tra l'Alleanza atlantica e Israele. Questo accordo prevede la partecipazione dello Stato ebraico ad operazioni antiterrorismo e, più specificamente, ad operazioni di pattugliamento navale nel Mediterraneo, nell'ambito della missione Active endeavour.
Ricordo che questa missione ha visto, nel corso degli ultimi cinque anni, un costante ampliamento delle sue funzioni, delle sue competenze, compreso il rafforzamento dei programmi della NATO per promuovere le relazioni bilaterali e multilaterali.
La missione, iniziata nel 2001, ha il compito fondamentale di combattere il traffico illecito ed il terrorismo nel Mediterraneo; in questo contesto, le navi da guerra della NATO, compresa una fregata della Marina militare italiana, hanno abbordato ed ispezionato sin qui oltre 100 mercantili.
La situazione testé ricordata è concomitante, contemporanea alla missione UNIFIL che, lo scorso agosto, ha visto l'intervento dei caschi blu in funzione di interposizione tra Israele e Libano, dopo la vicenda - nota a tutti noi - della guerra, dell'attacco, dello scontro, tra il Libano ed Israele, nel corso del quale sono state compiute, si sono verificate, anche azioni di guerra fuori dalle regole predisposte dalle convenzioni internazionali. Ricordo che sono state anche impiegate bombe al fosforo e sono stati usati ordigni a grappolo.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha emesso la risoluzione n. 1701, attraverso cui si promuove l'intervento di interposizione; in ogni caso, nel contesto della missione ONU vi sono una serie di paesi al tempo stesso anche membri dell'Alleanza atlantica. Si registra, quindi, una duplice funzione dei paesi che intervengono nell'interposizione da una parte e in partnership di alleanza dall'altra con una delle parti interessate all'intervento di interposizione. Peraltro, come sappiamo, il nostro paese svolge un ruolo di particolare impegno nell'ambito della missione UNIFIL.
Anche il contesto attraverso cui l'accordo NATO-Israele è stato reso noto al pubblico accresce le nostre preoccupazioni; infatti, nel momento in cui lo si è reso noto se ne è accentuato il connotato politico.
Questo accordo è stato reso noto al pubblico in occasione di un convegno sul tema «I rapporti NATO-Israele ed il dialogo mediterraneo», svoltosi in Israele alla presenza del Ministro degli esteri di Tel Aviv, signora Tzipi Livni, e del Vicesegretario generale della NATO, Alessandro Minuto Rizzo. Quest'ultimo, tra l'altro, ha fatto esplicito riferimento ad esercitazioni militari comuni quali aspetti salienti di un nuovo capitolo nella cooperazione tra Israele e la NATO, definiti dalla signora Livni, nel corso del medesimo convegno, partner naturali.
A questo si aggiunge ancora un ultimo aspetto su cui vorrei brevemente richiamare l'attenzione della Presidenza e del Pag. 89Governo. Mi riferisco all'esistenza di un elemento, anch'esso relativo alla complessità dei rapporti di cooperazione militare tra l'Italia e Israele, che concerne la ricerca militare di nuovi sistemi d'arma, di nuovi armamenti.
A noi è noto che in capo al Governo israeliano esiste uno speciale dipartimento per lo sviluppo di un arsenale basato sulle nanotecnologie. La ricerca, ovviamente coperta da segreto, punta alla realizzazione non solo di armi nucleari miniaturizzate, ma di armi di nuova concezione: robot e sistemi d'arma che colpiscono a distanza.
Ora non è irrilevante - a nostro giudizio - che l'Italia nel quadro dell'accordo di cooperazione militare stipulato dal Governo Berlusconi con quello israeliano nel 2003 e trasformato in legge nel 2005 - legge n. 94 del 17 maggio 2005 - si sia impegnata - leggo testualmente - «ad incoraggiare le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiali di interesse per entrambe le parti». Si sono già varati 31 progetti di ricerca congiunta, tra controparti italiane (CNR e alcuna nostre università) e controparti israeliane; quindi, non è escluso, anzi appare alquanto probabile, che ricerche italiane, ufficialmente a fini civili, possano comunque avere una ricaduta anche sul terreno militare nell'ambito di questa alleanza.
In tale contesto nascono le nostre preoccupazione, le nostre valutazioni e, su questa base, noi rivolgiamo al Governo le seguenti richieste: in primo luogo, una richiesta di informazione al Parlamento; in secondo luogo, una richiesta di valutazione in ordine alla opportunità e anche alla problematicità e pericolosità della contestualità degli eventi che ho qui richiamato ed, infine, una richiesta di iniziativa volta a scongiurare, ove si riconosca che ve ne siano, i rischi che da tale contestualità potrebbero eventualmente derivare.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, ha facoltà di rispondere.
VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevole Burgio, in merito alla sua interpellanza voglio sottolineare che il partenariato tra la NATO ed Israele è inserito nel quadro di riferimento del Dialogo Mediterraneo dell'Alleanza atlantica. Quest'ultimo costituisce, dal 1994, un importante tassello della nostra politica di cooperazione e della politica di cooperazione della NATO con i paesi terzi proprio per adattarsi alle nuove esigenze di sicurezza emerse dopo la fine dell'equilibrio bipolare. Sono sette i paesi dell'area mediterranea che partecipano all'iniziativa e, quindi, non solo Israele, ma anche Algeria, Egitto, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia.
Per il nostro paese, il Dialogo Mediterraneo della NATO rappresenta un processo complementare rispetto quello lanciato dalla Unione Europea con i partner della sponda sud del Mediterraneo, il cosiddetto «Processo di Barcellona».
Per questo, l'Italia si è adoperata in maniera pragmatica per favorire una maggiore collaborazione anche nei settori di più specifica competenza della NATO. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alla lotta contro il terrorismo, all'azione di contrasto nei confronti della proliferazione delle armi di distruzione di massa, alla riforma della difesa.
L'Alleanza atlantica ha favorito recentemente lo sviluppo di una cooperazione pratica, invitando i partner mediterranei a fornire sostegno all'operazione Active endeavour della NATO, che prevede il pattugliamento navale del Mediterraneo in funzione antiterroristica. Inoltre, la NATO ha confermato l'apertura alla partecipazione di questi ad esercitazioni congiunte.
L'esercizio, al di là della sua dimensione pratica, riveste un'importante valenza di strumento di confidence building in grado di riflettersi positivamente sui problemi regionali. La collaborazione nell'ambito del Dialogo Mediterraneo è poi particolarmente apprezzata in quanto consente ad Israele di sedere allo stesso tavolo con paesi con i quali non ha rapporti diplomatici e discutere con essi di importanti questioni politico-militari. In questo senso, gli strumenti di cooperazione Pag. 90offerti dal Dialogo Mediterraneo sono aperti nella stessa misura a tutti paesi che vi aderiscono. Israele è un partner attivo nell'ambito di questo esercizio, cui attribuisce grande importanza come strumento per contribuire alla stabilità della regione.
In questo contesto, il 17 ottobre scorso è stato sancito a Bruxelles l'avvio del piano individuale di cooperazione NATO-Israele elaborato nell'ambito del Programma di lavoro 2006 del Dialogo Mediterraneo. Il piano si pone come un punto di partenza che fissa i principi di una cooperazione costantemente aggiornabile e aperta a nuovi sviluppi. Nella stessa occasione è stata resa pubblica la definizione dello scambio di lettere NATO-Israele volta a regolare la partecipazione di Israele a questo piano di cooperazione ed è in fase di definizione con analogo testo, con analoghe lettere con altri paesi del Mediterraneo fra cui Algeria e Marocco.
Per questa ragione, la cooperazione pratica e le finalità della collaborazione tra la NATO ed Israele nell'ambito del Dialogo Mediterraneo esulano completamente dalle attività e dalle finalità della missione UNIFIL, in cui noi siamo impegnati.
Vorrei tuttavia sottolineare che tali finalità sono in linea con la posizione dell'Italia nello scenario mediorientale. La nostra è una posizione politica che si basa su una amicizia senza pregiudiziali nei confronti di tutti paesi dell'area, su una politica che è stata più volte riconosciuta come equilibrata da tutti gli attori della regione. Questo equilibrio è funzionale al ruolo che l'Italia intende svolgere e svolge quotidianamente anche nella complessa crisi israelo-palestinese, dove l'imparzialità e la credibilità rappresentano i fattori fondamentali per promuovere l'avvio di un dialogo costruttivo fra le parti.
Uno stesso atteggiamento ispira, d'altra parte, sul piano bilaterale, la stessa rete di accordi di cooperazione militare che l'Italia ha stipulato con diversi paesi della sponda sud del Mediterraneo, fra i quali gli stessi Libano e Israele.
PRESIDENTE. Il deputato Burgio ha facoltà di replicare.
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, sono soddisfatto per ciò che riguarda lo spirito costruttivo con cui il sottosegretario ed il Governo si muovono in questo contesto; infatti, questo mi sembra un atteggiamento assolutamente condivisibile perché è mosso dalla ricerca di pace in una delle regioni certamente critiche in questo momento, riguardo ai rischi di un'ulteriore radicalizzazione dei conflitti.
D'altra parte, il punto della nostra riflessione non è riferito alle singole iniziative - UNIFIL, Active endeavour o il Dialogo Mediterraneo, che naturalmente ci vedono concordi - ma semmai la eventuale asimmetria tra un impegno di interposizione e un ruolo di alleanza a cui facevo riferimento poc'anzi. Devo dire che, da questo punto di vista, mi permetto di ribadire la nostra preoccupazione in forma di richiesta della massima attenzione alla questione (che non dubitiamo il Governo dispieghi in questa materia) anche alla luce dell'evoluzione che sul teatro la vicenda sta registrando.
Mi limito a ricordare due aspetti: l'evoluzione della crisi interna al Libano dopo l'assassino del ministro dell'industria Pierre Gemayel leader del partito falangista cristiano-maronità. In Libano c'è una crisi dirompente sul piano politico perché il Governo Siniora è stato obiettivamente messo in crisi dalle dimissioni di cinque ministri sciiti - tutta la delegazione sciita si è dimessa - e dalle dimissioni del ministro greco-ortodosso, mentre il Governo non è disponibile a fare altrettanto - naturalmente questa è una valutazione politica interamente mia - e mi sembra piuttosto intenzionato a perseguire la strada di una sorta di destabilizzazione confessionale del paese; comunque, il contesto è di grande e nevralgica problematicità.
In questo contesto, lo svolgimento della missione di interposizione incontra talora (e ci auguriamo sempre meno) qualche elemento di rischio e pericolo. In chiusura, ricordo intanto l'incursione di forze israeliane Pag. 91contro la nave militare tedesca di fronte alle coste libanesi. La nave sarebbe stata ritenuta «colpevole» di aver fatto decollare un elicottero senza prima avere avvisato le autorità di Tel Aviv. Inoltre, vorrei ricordare anche le «esercitazioni» di picchiata dei caccia israeliani sulle unità navali francesi, contro le quali il comandante di UNIFIL, generale Alain Pellegrini, ha minacciato esplicitamente l'uso della contraerea ed auspicato la costituzione di una zona di non volo, una no fly zone, in coincidenza con la regione dell'interposizione. Quindi, il quadro è complesso e complicato. Credo che sarebbe opportuno raddoppiare le cautele per evitare che situazioni di potenziale contraddizione (o che potrebbero essere percepite come tali) si determinassero mettendo a rischio il buon andamento della missione e le truppe ivi impegnate.
(Iniziative per il riconoscimento alla memoria delle vittime delle stragi e delle persecuzioni nazifasciste - n. 2-00231)
PRESIDENTE. L'onorevole Burgio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00231 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, la mia interpellanza riguarda, da una parte, i fatti di Cefalonia, acquisiti alla memoria storica, e, dall'altra, una vicenda giudiziaria assolutamente recente, anzi ancora in corso, e che nei prossimi giorni conoscerà un atto di grande rilevanza. Vorrei riepilogare molto schematicamente i fatti.
Come tutti noi sappiamo, nel settembre del 1943 si è verificata nelle isole ioniche, nell'isola greca di Cefalonia, la strage di maggiori proporzioni a danno delle forze militari italiane impegnate dopo l'8 settembre 1943 al fianco di quelle anglo-americane. Si tratta della strage di maggiori proporzioni e contestualmente del primo atto della resistenza italiana, come il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ebbe a definire il 1o marzo 2001 in occasione della commemorazione dei caduti italiani della divisione Acqui, a seguito della decisione del comandante, generale Gandin, di non consegnare le armi ai tedeschi. Inoltre, si tratta anche del primo massacro perpetrato dalle forze nazifasciste nei confronti dei nostri militari.
Cosa avvenne a Cefalonia? A Cefalonia, l'8 settembre venne presa una decisione dalle forze militari italiane, peraltro assunta nel modo più partecipato. Gli storici ricordano che il generale Gandin decise di chiedere, in una sorta di referendum, ai militari di truppa, ai sottufficiali e agli ufficiali italiani cosa intendessero fare. Allora, essi decisero di resistere ai tedeschi e in uno scontro militare vennero uccisi e caddero in battaglia circa 1.200 militari italiani. La preponderanza delle forze di terra e di cielo tedesche indussero in un secondo momento il generale Gandin a decidere la resa. Essa fu comunicata al nemico il 22 settembre. In quella data scattò una caccia all'uomo nei confronti dei militari italiani, che vennero sistematicamente catturati, fatti prigionieri ed uccisi, in violazione del diritto internazionale di guerra e di ogni convenzione militare. La storia parla di 155 ufficiali e di circa 4.500 soldati italiani massacrati in tal modo. Addirittura, nel processo di Norimberga sulla strage di Cefalonia, il generale statunitense, Telford Taylor, che partecipava al collegio di accusa, dichiarò che gli italiani erano soldati regolari che avrebbero meritato il rispetto, la considerazione ed il trattamento cavalleresco, mentre invece avevano subito ritorsioni che violavano tutte queste norme e tutti questi princìpi. Questo è quello che riguarda la vicenda storica, a noi tutti nota.
Senonché qualche mese fa, nel luglio 2006, si è aperto un nuovo capitolo, che stavolta ha anche un contesto giudiziario. Mi riferisco al processo intentato nei confronti dell'allora sottotenente dell'esercito tedesco, Otmar Muehlhauser, che fu tra i protagonisti dell'eccidio in qualità di comandante del plotone di esecuzione che passò per le armi numerosi ufficiali italiani della divisione Acqui. Nel processo, Pag. 92Muehlhauser, se non è stato del tutto assolto, ha comunque beneficiato della decisione del procuratore generale Stern, di Monaco, che ha optato per una prospettiva che rende semplicemente impossibile qualsiasi giudizio di condanna. Infatti, il giudice tedesco ha ritenuto Muehlhauser colpevole di omicidio, non ignorando le sua rilevanza né le sue decisioni, ma ha consentito la prescrizione del reato, negando che le sue azioni fossero determinate da «vili motivi» (questo è il punto giuridico) per il semplice fatto che ha sposato interamente l'ottica dell'imputato. Il giudice tedesco ha detto che allora Muehlhauser riteneva gli italiani disertori e traditori. Siccome quello che conta è il punto di vista soggettivo dell'imputato, non si può dire che invece erano prigionieri di guerra. Dunque, visto che non erano prigionieri di guerra, non sussistono i «vili motivi». Tutti capiamo che secondo questo punto di vista, per il quale un giudice assume l'ottica dell'imputato, non vi saranno mai «vili motivi». Infatti, non credo che incontreremo facilmente un soggetto che agisca sulla basi di motivi da lui stesso ritenuti vili.
Concludendo l'illustrazione della nostra interpellanza, vorrei aggiungere un'ulteriore considerazione su cui credo che valga la pena riflettere un momento. La giustizia tedesca non ha mai, fino ad oggi, condannato alcun militare della Wehrmacht o delle SS resosi responsabile di assassinio, massacro e violenza nei confronti di militari italiani. Non vi è mai stata una condanna, anzi, ogni qualvolta un'autorità giudiziaria tedesca abbia, per incidenza nel contesto di un procedimento penale, emesso una sentenza in tal senso, la Corte suprema ha sistematicamente provveduto a prescrivere o ad assolvere. Ricordo il caso emblematico della condanna in contumacia all'ergastolo di Siegfrid Engel, responsabile di una quantità di stragi (strage della Benedicta, del Passo del Turchino, di Portofino e di Cravasco), dove la Corte suprema ha provveduto ad annullare la condanna che in primo grado la corte penale di Amburgo aveva emesso.
Visto che dopodomani la corte penale di Monaco, nella persona (ahinoi) dello stesso procuratore Stern, sarà chiamata a giudicare sul ricorso che la figlia di una delle vittime di Cefalonia ha presentato contro la decisione di prescrivere il reato al signor Muehlhauser, in questo contesto chiediamo al Governo di considerare tutta la gravità della situazione per una ragione molto semplice.
Noi riteniamo che questa non sia e non possa essere più considerata una vicenda giudiziaria normale e, dunque, di ordine privato. Riteniamo che siano in causa, oltre alla memoria ed alla verità storica, anche la dignità e l'onore di combattenti italiani che sono stati vittime di condotte inammissibili e che meritano un riconoscimento per ciò che è effettivamente avvenuto.
Siamo stati raggiunti da alcune notizie, in questi ultimi frangenti, circa il fatto che il procuratore Stern si sarebbe rammaricato di aver usato le parole «traditori» e «disertori» e si sarebbe dichiarato turbato e scosso. Da ultimo, persino il ministro della giustizia della Baviera, la signora Beate Merck, avrebbe definito «terrificante e disonorevole» il comportamento dei militari tedeschi.
Il problema, tuttavia, non è semplicemente questo. Non si tratta, a nostro modo di vedere, di giudicare un comportamento e nemmeno, signor Presidente - vorrei chiarirlo, perché ci è stato contestato - di interferire con la giustizia tedesca, con la magistratura di un altro paese che ha la sua autonomia e la sua indipendenza. Ciò ci è assolutamente noto. Ciò che vorremmo, e chiediamo al Governo se non lo ritenga opportuno, è che vengano fatti passi ufficiali perché si determini una presa di posizione istituzionale, da parte del nostro paese, affinché la Germania, in tutte le sue articolazioni istituzionali, riconosca la verità storica e dia alla verità storica, in questo caso quella dei massacri perpetrati dai militari nazisti, la dovuta diffusione, la dovuta visibilità e ciò suoni come esplicito riconoscimento e scuse nei confronti dei nostri militari.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, ha facoltà di rispondere.
VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Onorevole Burgio, la ringrazio per questa interpellanza. Spero, nella mia risposta, di andare incontro all'obiettivo della medesima.
Naturalmente, il Governo concorda pienamente con lei sull'inaccettabilità delle motivazioni dell'ordinanza con cui la procura ha archiviato il caso dell'ex ufficiale tedesco. Noi, appena informati di tale ordinanza di archiviazione, tramite il nostro ambasciatore a Berlino, abbiamo espresso immediatamente al ministro federale della giustizia, Brigitte Zypries, ed al ministro della giustizia della Baviera, Merck, la nostra indignazione e la nostra deplorazione per le tesi sostenute dal procuratore di Monaco, ribadendo l'importanza di ristabilire la verità storica e giuridica e richiamando anche, al riguardo, la condanna erogata dal Tribunale di Norimberga contro il generale Hubert Lanz, che fu il comandante delle truppe tedesche a Cefalonia. Abbiamo altresì tenuto a sottolineare alle autorità tedesche che quella di Cefalonia è una pagina gloriosa della storia italiana, rammentando il numero dei militari italiani caduti sotto il fuoco tedesco per tenere fede al loro giuramento di fedeltà alle istituzioni nazionali italiane. Ciò è stato ribadito in successivi incontri con l'ambasciatore di Germania a Roma e con le autorità tedesche a Berlino.
Nella lettera, che peraltro lei ha citato, spedita dal ministro della giustizia della Baviera, la stessa ha detto testualmente che il massacro compiuto contro i soldati italiani a Cefalonia ha infranto in maniera terrificante e disonorevole le regole del diritto internazionale di guerra e, quindi, che è altrettanto fuori discussione che non vi fosse alcuna giustificazione per quelle azioni.
Pertanto, con l'archiviazione del procedimento la procura non ha voluto assolutamente mettere in dubbio quanto affermato al momento della condanna del generale Lanz nell'ambito del processo di Norimberga sulle fucilazioni di Cefalonia. A questa inequivocabile presa di posizione sull'aspetto politico e storico della vicenda il ministro ha fatto seguire un'articolata ricostruzione tecnico-giuridica del dispositivo della sentenza, che riassumerò soltanto in parte.
Il primo principio evocato dal ministro Merck è che nell'ordinanza della procura di Monaco non vi fosse alcun intento assolutorio ed è fuori di dubbio che lo stesso pubblico ministero ha tenuto a precisare per iscritto che al comportamento dell'indagato non può essere riservata alcuna comprensione.
Il secondo principio è che il termine «traditore» era virgolettato e non si riferiva, infatti, all'operato delle Forze armate italiane, ma alla percezione che, all'epoca, il sottotenente accusato aveva degli avvenimenti. Nelle parole del ministro, l'indagato avrebbe dovuto comprendere che i militari italiani rimanevano fedeli alla propria patria, ma, nella sua ottica soggettiva, egli percepiva quei soldati, che in precedenza erano stati compagni d'armi, come nemici che lottavano contro di lui.
Il terzo principio è che tale stessa percezione era sicuramente sbagliata, inaccettabile, sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista morale. Tuttavia, il fatto che l'accusato abbia agito, a suo tempo, per obbedire ad ordini ricevuti e sulla base di una comprensione distorta della realtà, fa sì che nei suoi confronti non scattino oggi le aggravanti previste dal codice penale tedesco per l'omicidio doloso aggravato per vili ragioni. Non è, quindi, sul piano strettamente tecnico, erroneo ammettere che i reati contestati all'imputato possano cadere in prescrizione.
Riteniamo, ai fini di una valutazione serena della lettera del ministro della giustizia, che le argomentazioni giuridiche a sostegno della decisione di archiviazione vadano tenute distinte dalle considerazioni di carattere storico e morale sulla vicenda di Cefalonia e sul comportamento dei nostri militari, e che sul piano giuridico risulta certamente insoddisfacente Pag. 94la giustificazione ricercata nelle interpretazioni giurisprudenziali invocate nel caso Mühlhauser.
Dal punto di vista del giudizio sostanziale, la lettera, tuttavia, rappresenta una chiara presa di distanza tanto del ministro quanto dello stesso pubblico ministero rispetto a quella che appariva come un'offesa della verità storica, della dignità delle vittime della tragedia di Cefalonia e delle intere Forze armate italiane. Sotto questo profilo, i nostri passi svolti nei confronti delle autorità tedesche sono riusciti, crediamo, nell'intento di ottenere da parte delle medesime una precisazione inequivocabile sul comportamento dei nostri militari ed i propositi del ministro Merck e del procuratore generale non avrebbero potuto riconoscerne più chiaramente la fedeltà alla patria ed alle istituzioni nazionali.
Così abbiamo ritenuto di comportarci e così credo, onorevole Burgio, questa vicenda abbia visto il Governo impegnato nel tentare di non compromettere sul piano storico e sul piano morale l'azione dei nostri militari e, soprattutto, nel fare in modo che le autorità tedesche riconoscessero l'errore di fondo, sul piano storico e morale, che stavano commettendo.
PRESIDENTE. La deputata Cardano, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
ANNA MARIA CARDANO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la risposta; tuttavia la nostra posizione è soltanto di parziale soddisfazione per quanto ascoltato in quest'aula. È evidente, infatti, che un procedimento ancora in corso, perché non sono completate le fasi di giudizio, richiede, a nostro parere, una presa di posizione più forte da parte dello Stato italiano. Se è vero che uno Stato non può costituirsi parte civile, siamo tuttavia convinti che singole persone, in rappresentanza delle istituzioni di un paese, possano farlo e che questo sia forse il caso, non certo per aprire una crisi diplomatica con la Repubblica federale tedesca, per il valore emblematico e storico di questa vicenda, di non lasciarla esaurire soltanto con queste, pur apprezzabili, azioni svolte finora.
Riteniamo, infatti, che al momento tutta la questione si sia comunque risolta in un fatto rimasto privato, perché anche le cose da lei citate, signor sottosegretario, non sono diventate di dominio pubblico. Quindi, al momento, è rimasto un fatto privato tra la signora Negri, parte civile italiana e, appunto, il procuratore Stern, che ha espresso il giudizio.
A nostro parere, non può continuare ad essere così. L'opinione pubblica italiana deve venire a conoscenza al più presto anche di queste posizioni espresse in Germania dai rappresentanti istituzionali. D'altra parte, siamo a conoscenza che la Repubblica federale tedesca, in particolare il Parlamento tedesco, tra il 2002 e il 2004, ha varato alcune importanti leggi (una delle quali ha istituito la Fondazione memoria, responsabilità e futuro) che parlano proprio di riabilitazione dei disertori.
Ora, vedere utilizzato un linguaggio superato, dal punto di vista giuridico, dalle stesse leggi tedesche oggi non ci pare accettabile. Il linguaggio non è neutro e le parole che si leggono nella sentenza, come «prigionieri non normali», o «traditori» o «disertori», anche se virgolettate, non possono essere accettate.
Per questo motivo, pensiamo che una vicenda come questa possa essere significativa rispetto a come l'Europa intende porsi per il futuro (peraltro, la Fondazione tedesca è denominata memoria, responsabilità e futuro). Per il futuro l'Europa deve porsi sul piano dei diritti umani e della nozione di civiltà in modo più avanzato. Questa deve diventare una lezione che, in qualche modo, insegni che non è mai possibile la prescrizione di reati di questo tipo; quindi, una difesa dei diritti umani anche dei militari di allora.
Chiediamo una presa posizione, perché al momento sono in corso con la Germania le trattative per il risarcimento dei 650 mila prigionieri militari italiani. La loro sorte è stata tragica, poiché non essendo considerati allora prigionieri di guerra, non ebbero i benefici spettanti a questi Pag. 95ultimi. In seguito, non hanno ottenuto alcun risarcimento, perché neppure riconosciuti lavoratori coatti.
In tale contesto, chiediamo che le azioni proseguano in modo ancora più incisivo e, soprattutto, che ne sia data pubblicamente contezza.
(Misure a favore della scuola italiana di Madrid - n. 2-00257)
PRESIDENTE. Il deputato Narducci ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00257 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Signor Presidente, la mia interpellanza, sottoscritta da altri 29 colleghi parlamentari, è rivolta al ministro degli affari esteri per avere una risposta esaustiva sulla situazione della scuola italiana di Madrid. Si tratta di una scuola prestigiosa che da decenni offre lustro alle politiche scolastiche attuate dal nostro paese all'estero.
Questa interpellanza offre, altresì, lo spunto per una riflessione necessariamente breve sulle strategie culturali dello Stato italiano e sui metodi scelti per sostanziarle; strategie che, spesso, non valutano con contezza l'enorme potenziale rappresentato dalle comunità italiane emigrate.
Signor Presidente, se non puntiamo la nostra attenzione sulla promozione della lingua e della cultura italiana, possiamo dichiarare fallimentari le politiche migratorie da parte dell'Italia. Ne traiamo convinzione (sono un parlamentare eletto all'estero) analizzando il successo che riscuotono tra le nostre comunità le settimane della lingua italiana nel mondo promosse in questi ultimi anni e giunte alla sesta edizione; successo che è cresciuto con il progressivo coinvolgimento di tutte le forme della presenza italiana all'estero.
Anche per questa ragione, la difesa delle scuole italiane all'estero, della lingua e della cultura costituisce per noi un valore ed una priorità assoluti. Cosa ci resterebbe, altrimenti? Ci resterebbero milioni di persone con un cognome italiano, e nient'altro.
La scuola di italiano di Madrid è un esempio di quante possibilità si offrono per un ruolo attivo dell'Italia nel solco della nostra tradizione culturale. Come ha affermato il Presidente Giorgio Napolitano ieri, esiste un pianeta Italia al di fuori del territorio nazionale abitato da uomini e donne che hanno scelto di conoscere e parlare la nostra lingua e, insieme alla lingua, di assumere le tradizioni, la cultura e la filosofia di vita che caratterizzano il popolo italiano.
Chiediamoci, allora, cosa debba fare uno Stato moderno che, invece di facilitare le pratiche burocratiche, le rende più complicate e mette i dirigenti degli uffici nell'incapacità di operare, frenando in tal modo il ruolo che l'Italia può svolgere con successo. Diventa esilarante parlare di grandi progetti e politiche culturali, quando la macchina burocratica non riesce a gestire questioni come quelle concernenti gli edifici scolastici di sua proprietà.
La scuola italiana di Madrid ha avuto fin dalla sua istituzione una funzione di fondamentale importanza; un'importanza cresciuta negli anni, a tal punto che oggi essa viene considerata tra le prime dieci scuole del sistema pubblico e privato di istruzione in Spagna.
Vi si sono formati migliaia di giovani italiani e, in considerazione anche della storia spagnola passata e della peculiarità del sistema scolastico del paese ospitante, essa ha contribuito all'istruzione di numerosi cittadini spagnoli assurti spesso a ruoli di alto profilo negli snodi dell'economia e della politica del loro paese.
La scuola italiana di Madrid rappresenta, per importanza storica, culturale, grandezza e influenza sul territorio iberico, la più grande entità scolastica pubblica italiana al di fuori del territorio metropolitano.
Occorre, allora, migliorare con urgenza l'agibilità delle strutture scolastiche e risolvere i problemi di spazio che rendono Pag. 96oltremodo difficoltosa l'organizzazione dell'esercizio didattico nella realtà scolastica di Madrid.
Vorrei richiamare, in questa sede, le solenni parole del Presidente Ciampi (proprio perché vi è una situazione simile in molte altre scuole italiane all'estero), nel giorno del suo giuramento: gli italiani nel mondo costituiscono parte integrante di questa nazione, sono una cosa sola con l'Italia.
Vorrei ricordare anche un passaggio della dichiarazione in favore di una Carta per l'Europa della cultura, nel punto in cui recita: riaffermiamo che la cultura contribuisce anche tanto allo sviluppo economico, all'occupazione e alla coesione sociale e territoriale, quanto allo splendore dell'Europa nel mondo.
La politica estera dell'Italia non può riguardare prevalentemente gli scenari di tensione armata o dello sviluppo economico, ma anche il ruolo di paese protagonista che sapremo esercitare sul piano culturale e scolastico, dal quale spesso dipendono anche le affermazioni in campo economico.
Per queste ragioni, chiediamo che il Governo dia un segnale forte per migliorare l'agibilità strutturale della scuola italiana di Madrid.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, ha facoltà di rispondere.
VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevole Narducci, la sua interpellanza mi consente di sottolineare (non ve ne sarebbe bisogno, ma lo faccio volentieri, affinché rimanga agli atti della Camera dei deputati) il mio apprezzamento per il lavoro svolto dai parlamentari eletti dai nostri connazionali all'estero, perché ci consente anche di considerare l'opportunità di intervenire sulle aree critiche delle nostre missioni diplomatiche e culturali, laddove si registrano i disagi più ampi.
Il caso sollevato dall'onorevole interpellante, ossia quello riguardante la scuola di Madrid, effettivamente, corrisponde ad una situazione di disagio di cui siamo consapevoli. Naturalmente è un disagio comune ad altre scuole italiane statali, che soffrono di scarsa capienza dei locali, a fronte di una continua e più copiosa richiesta di iscrizione da parte non soltanto di alunni italiani residenti all'estero, ma anche di alunni stranieri che intendono apprendere la lingua italiana. Da una parte, ciò rappresenta un fatto di grande dinamismo di cui siamo consapevoli. Dall'altra parte, dobbiamo affrontare questa domanda crescente attraverso risorse che, negli ultimi anni, sono state fortemente contenute, anche a causa delle note esigenze di contenimento e di disciplina di bilancio.
Nel dettaglio, vorrei ricordare che le risorse gestite in questo ambito dalla direzione generale per la promozione culturale del Ministero degli affari esteri hanno subito negli ultimi anni una riduzione di circa il 70 per cento. Per questa ragione ci si è dovuti concentrare, innanzitutto, sulle misure più urgenti di manutenzione e di adeguamento alle norme di sicurezza delle scuole italiane all'estero.
Tuttavia, nel merito dell'oggetto della sua interpellanza, voglio confermare che il Ministero degli affari esteri intende assicurare al più presto la ristrutturazione anche dell'edificio che ospita l'Istituto scolastico statale italiano di Madrid, compatibilmente con le risorse disponibili per l'esercizio finanziario del 2007.
Si conferma anche l'ipotesi di alienare l'edificio, attualmente occupato dall'istituto scolastico statale, per costruire un nuovo stabile in un'altra zona. Ribadisco che tale possibilità non è esclusa e verrà attentamente vagliata. Naturalmente, questa ipotesi - come lei può ben immaginare, onorevole Narducci - richiede tempi più lunghi.
Sul piano più generale della nostra attenzione verso i presidi scolastici, gli istituti scolastici e gli istituti di cultura, vorrei vi fosse la forte consapevolezza che il Governo si sta muovendo in direzione di una nuova e più dinamica, oltre che maggiormente «orientata», politica nei confronti dei nostri connazionali residenti Pag. 97all'estero, sempre compatibilmente con le ristrettezze e le difficoltà di bilancio.
Questa nostra vocazione, tuttavia, corrisponde esattamente ai principi e ai valori che regolano il nostro rapporto con i connazionali all'estero e risponde agli «imperativi» enunciati dai Presidenti della Repubblica che lei ha citato (il precedente e l'attuale). Più in generale, infatti, avvertiamo che si tratta di un valore comune, il quale appartiene all'orientamento ed agli obiettivi di questo Governo.
PRESIDENTE. Il deputato Narducci ha facoltà di replicare.
FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Signor Presidente, ringrazio innanzitutto il sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi ritengo soddisfatto per quanto riguarda l'apprezzamento ed il riconoscimento del ruolo svolto dagli italiani all'estero; sono sicuramente non soddisfatto, invece, per quanto concerne il merito dell'interpellanza urgente presentata.
Le ragioni e le motivazioni di tale atteggiamento si possono chiaramente rinvenire all'interno della descrizione riportata nel testo dell'interpellanza. Vorrei soltanto ricordare, con riferimento al problema perenne ed endemico delle risorse finanziarie, che già nel 2000 l'Ufficio italiano cambi - e credo che questo paese ne debba veramente prendere atto - valutava in 60 miliardi di euro l'indotto economico generato dagli italiani all'estero verso l'Italia. Tutto questo senza tener conto della cantieristica e di altri settori, anche se ciò non può essere sicuramente attribuito al merito - con le conseguenti medaglie da appuntare sul petto, ma non è questo il problema - degli italiani all'estero.
Il problema sollevato è reale: se l'Italia vuole competere in un mondo come quello odierno, deve mantenere questa rete di presenze portentosa, poiché - come ben sa il sottosegretario Craxi, che ha visitato le nostre comunità - è dotata di potenzialità enormi. Sono evidenti, e me ne rendo conto anche in qualità di parlamentare che sostiene la maggioranza, i problemi di finanza pubblica; tuttavia, occorre assolutamente destinare, in un futuro veramente prossimo, maggiori risorse a queste presenze all'estero, perché rappresentano una ricchezza economica dell'Italia.
È inutile, in questa sede, ricordare ciò che tutti sappiamo riguardo alla Francia ed alla Germania. Si tratta di paesi che, come l'Italia, siedono nel G8 e tutti noi conosciamo le politiche culturali da essi attuate. Pertanto, vorrei che il mio intervento venisse considerato dal rappresentante del Governo come un appello veramente accorato per fare di più, affinché in questo settore non si disperda il patrimonio accumulato.
(Rinvio interpellanza urgente La Russa - n. 2-00219)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo, sulla quale hanno convenuto i presentatori, lo svolgimento dell'interpellanza urgente La Russa n. 2-00219 è rinviato ad altra seduta.
(Ritiro interpellanza urgente Rossi Gasparrini - n. 2-00247)
PRESIDENTE. Avverto che l'interpellanza urgente Rossi Gasparrini n. 2-00247 è stata ritirata dai presentatori.
(Tempi di realizzazione della linea alta velocità-alta capacità Milano-Genova-Terzo Valico dei Giovi - n. 2-00179)
PRESIDENTE. Il deputato Adolfo ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00179 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
VITTORIO ADOLFO. Signor Presidente, intervengo per illustrare l'interpellanza in oggetto in un momento certamente particolare, poiché il progetto in questione è stato al centro dell'attenzione proprio in questi giorni.
Pag. 98PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 17,36)
VITTORIO ADOLFO. Solo per riassumere brevemente la questione, ricordo che l'opera in sé riguarda il collegamento tra Genova e Novi Ligure; si tratta, quindi, di un potenziamento infrastrutturale indispensabile per la regione Liguria, la portualità ligure ed il Nord-Ovest.
Mi riferisco, inoltre, ad un progetto finalizzato al collegamento delle due realtà portualistiche più importanti d'Europa, vale a dire Rotterdam e Genova. Si tratta, dunque, di realizzare un collegamento indispensabile per lo sviluppo economico e commerciale sia dell'intero Nord-Ovest, sia dell'Italia del Nord.
Ricordo che con la precedente giunta regionale ed il precedente Governo, grazie anche al contributo offerto dalle altre forze politiche, si era giunti finalmente ad un progetto definitivo ed oggi cantierabile. Rammento che si era lavorato con molta determinazione in tal senso: all'epoca, infatti, ero assessore alle infrastrutture, e quindi ho seguito personalmente l'intero percorso - dalla Conferenza dei servizi fino alla cantierabilità - relativo a tale progetto.
Ricordo, altresì, che a tale progetto hanno lavorato insieme tutte e tre le regioni del Nord. Il consenso, dunque, era stato unanime, poiché era stato espresso da tutte e tre le regioni interessate.
Oggi, invece, ci troviamo dinanzi ad una scelta che sicuramente non condividiamo. Di fronte a tale decisione, mi domando quale atteggiamento intenda assumere e cosa voglia fare il presidente della regione Liguria, Claudio Burlando, già ministro dei trasporti. Mi chiedo, inoltre, quale atteggiamento avranno i deputati di maggioranza liguri e genovesi, i quali conoscono bene l'importanza di tale progetto.
Prima di entrare nel merito del discorso, desidero formulare solamente una considerazione, anche perché le decisioni assunte in questi giorni cambiano gli scenari.
Vorrei evidenziare che nel 2010 Rotterdam ed i porti del Nord d'Europa scaricheranno oltre 100 milioni di container, mentre Genova ne scaricherà 6 milioni: mi domando, allora, come la «porta del Mediterraneo» possa tenere il passo della realtà del Nord dell'Atlantico! Rivolgo al Governo tale quesito.
Entrando nel merito, voglio ricordare che erano stati stanziati 15 milioni di euro l'anno per 15 anni, ma tali somme sono state «cancellate» e destinate all'alta velocità Torino-Milano-Napoli. Oggi, quindi, ci troviamo di fronte alla chiusura del cantiere della linea Milano-Genova-Terzo Valico dei Giovi.
Si tratta di una decisione del Governo di centrosinistra di cui prendiamo atto; chiediamo, tuttavia, che rimanga la volontà politica di realizzare quest'opera. Osservo che, per fare ciò, non è detto che le risorse finanziarie debbano essere solamente pubbliche: chiedo, pertanto, di rivolgersi a soggetti privati.
Vorrei segnalare che una cordata - della quale fanno parte la Cassa di risparmio di Genova e Imperia, l'Unicredit e il Sanpaolo IMI - sta studiando il problema. Vi invito, quindi, ad esplorare un'altra soluzione, vale a dire il ricorso a risorse finanziarie private, e a non abbandonare un progetto che ritengo indispensabile per tutta l'Italia del Nord, nonché per la portualità del nostro paese.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Mario Lettieri, ha facoltà di rispondere.
MARIO LETTIERI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziare l'onorevole Vittorio Adolfo per aver presentato l'interpellanza urgente in oggetto.
Con tale atto di sindacato ispettivo, l'onorevole Adolfo ed altri deputati chiedono quali iniziative il Governo intenda assumere in ordine al sistema italiano alta velocità-alta capacità, in particolare con riferimento alla linea Milano-Genova-Terzo Valico dei Giovi.
Al riguardo, si premette che, ai sensi dell'articolo 1, comma 81, della legge del Pag. 9923 dicembre 2005, n. 266, legge finanziaria per il 2006, la Cassa depositi e prestiti continua a svolgere, attraverso il patrimonio separato della ex Infrastrutture Spa, le attività connesse agli interventi finanziari intrapresi dalla stessa fino all'entrata in vigore della legge citata. Le obbligazioni emesse ed i mutui contratti da Infrastrutture Spa fino a tale data sono integralmente garantiti dallo Stato. La disposizione recata dall'articolo 1, comma 81, della legge citata disciplina, dunque, il subentro della Cassa depositi e prestiti attraverso il patrimonio separato nelle attività connesse agli interventi finanziari intrapresi da Infrastrutture Spa, ma fino all'entrata in vigore della legge finanziaria 2006. Pertanto, è esclusa la tratta ad alta velocità-alta capacità Milano-Genova (il cosiddetto terzo valico dei Giovi) il cui progetto definitivo è stato approvato dal CIPE soltanto con delibera del 29 marzo 2006 e, cioè, successivamente all'entrata in vigore della legge finanziaria 2006.
Giova precisare che, congiuntamente al gruppo Ferrovie dello Stato, è in fase di analisi un nuovo modello di finanziamento del sistema ad alta velocità-alta capacità rispetto a quello sinora adottato. Nelle more dell'implementazione di tale nuovo modello, che dovrà essere sottoposto al vaglio preventivo di Eurostat ai fini dell'impatto sui saldi di finanza pubblica, ai sensi del decreto-legge del 4 luglio 2006 n. 223, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, è stato riconosciuto al gruppo Ferrovie dello Stato, per l'anno in corso, un contributo statale nel limite massimo di 1,8 miliardi di euro per la prosecuzione degli interventi relativi al sistema ad alta velocità-alta capacità.
Per quanto riguarda l'affermazione della volontà del Governo di realizzare quest'opera importante per un'area assai significativa del nostro paese, confermo l'intenzione sia di completarla, sia di trovare le soluzioni di natura finanziaria, nei limiti dei vincoli posti dall'attuale legislazione.
PRESIDENTE. L'onorevole Adolfo ha facoltà di replicare.
VITTORIO ADOLFO. Signor Presidente, naturalmente sono insoddisfatto della risposta che ho ricevuto. Oggi, il consiglio di amministrazione della Tav Spa ha preso la decisione definitiva di chiudere i cantieri. Perciò, invito il Governo ad intervenire per esplorare a fondo tutte le soluzioni possibili affinché quest'opera possa essere realizzata anche al di fuori degli schemi della finanziaria, quindi, con risorse private, perché è indifferibile nel tempo.
(Misure per garantire un adeguato approvvigionamento energetico - n. 2-00215)
PRESIDENTE. L'onorevole Ciccioli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00215 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).
CARLO CICCIOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, accogliendo l'invito della Presidenza, cercherò di illustrare la mia interpellanza molto rapidamente. Come tutti sanno, nel mondo occidentale è percentualmente in diminuzione il consumo di petrolio ed in aumento quello di gas naturale. Il nostro paese, però, dipende quasi totalmente dall'estero per l'approvvigionamento. Infatti, il 90 per cento del gas consumato è importato e solo per il 10 per cento della domanda è soddisfatto con le risorse nazionali.
Per comprendere meglio il problema, fornirò alcune cifre. Tra il 2000 e il 2004, l'aumento della domanda di gas naturale in Italia è stato del 14 per cento ed è stato calcolato che, tra il 2005 e il 2010, l'incremento di consumo sarà del 20 per cento. Tra qualche tempo, la domanda di gas naturale costituirà il 40 per cento della complessiva domanda di energia, e sarà pari alla domanda di petrolio.
Questo significa che dobbiamo porci il problema di assicurarci - anche a causa della situazione delle cosiddette riserve energetiche che, in Italia, è particolarmente critica - un maggiore approvvigionamento di gas. Ritengo opportuno aggiungere che noi dipendiamo, per il 60 per cento, dai metanodotti che provengono Pag. 100dalla Federazione russa e dall'Algeria. È estremamente importante avere più fonti di approvvigionamento per godere di maggiore autonomia. Anche questa circostanza, infatti, incide sul prezzo.
Per questo motivo, è stato chiesta da più società l'autorizzazione a realizzare e mettere in opera impianti di rigassificazione. In pratica, ciò significa importare gas naturale liquido con le navi, mediante un sistema di trasporto estremamente sicuro, e, attraverso gli impianti in cui si effettua la rigassificazione, immetterlo nel sistema a rete di distribuzione del gas. Questo investimento, tra l'altro, produrrebbe occupazione per circa ventimila unità. A tutt'oggi, in Italia, sono state richieste otto autorizzazioni, tre delle quali sarebbero state già concesse. Per una serie di circostanze, tuttavia, non si avvia la realizzazione di questi impianti, in parte anche per l'opposizione dei gruppi ambientalisti i quali - francamente, con scarse motivazioni - cercano di evitarla. Peraltro, paesi con sensibilità ambientalista molto maggiore, forse, di quella italiana, autorizzano questo sistema che garantisce autonomia energetica. Inoltre, gli stessi enti locali, attraverso una serie di ostacoli burocratici, si oppongono a questa scelta.
Intendo conoscere l'opinione del Governo al riguardo e sapere come intenda muoversi e, più in generale, come intenda affrontare, da questo punto di vista, la politica energetica, tenendo presente che la ricerca di una autonomia energetica rispetto al petrolio è sicuramente un obiettivo comune dell'occidente, legato anche alla necessità di migliorare le condizioni di tutela dell'ambiente e della natura.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Alfonso Gianni, ha facoltà di rispondere.
ALFONSO GIANNI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, preliminarmente desidero affermare - credo che tutti possiamo essere d'accordo su queste semplici considerazioni - che i quesiti sollevati dall'onorevole interpellante attengano a una materia troppo importante e troppo complessa per poter essere esaminata nell'ambito di una sola risposta ad una interpellanza. Su questo tema e per i provvedimenti che riguardano gli approvvigionamenti energetici - presso il Senato è in discussione un disegno di legge in materia - il Governo sta fornendo risposte e puntualizzazioni. Lo farà in maniera ancor più autorevole anche nel prossimo futuro.
Svolta questa premessa doverosa, che non è una captatio benevolentiae, ma una dichiarazione di onestà intellettuale, in merito alle questioni sollevate più specificamente da parte dell'onorevole interpellante posso semplicemente ricordare che in Italia, allo stato attuale, esiste un solo terminale di rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL), operante da decenni e ubicato a Panigaglia, della capacità massima di circa 3,5 miliardi di metri cubi all'anno.
Sono stati, inoltre, autorizzati tre progetti, rappresentati dal terminale offshore al largo di Rovigo, della capacità di rigassificazione di otto miliardi di metri cubi annui, dall'impianto dell'area industriale del porto esterno di Brindisi, della capacità di altri 8 miliardi, e, infine, dal terminale galleggiante offshore al largo delle coste toscane, con una capacità prevista di 3,7 miliardi di metri cubi.
Inoltre, vi sono istanze in istruttoria per ulteriori sette progetti di terminale (nel porto industriale di Trieste, nel golfo di Trieste, nell'area industriale di Taranto, nell'area esterna del porto di Gioia Tauro, nella rada di Augusta, a porto Empedocle, nell'area industriale di Rosignano in Toscana), ciascuno della capacità di 8 miliardi di metri cubi; un'ulteriore istanza è stata presentata per un terminale offshore al largo di Ravenna ed è in corso di valutazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
I sette progetti in parola sono in fase di VIA presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per tutti, è stata effettuata la consultazione del pubblico interessato, ai sensi delle normative Pag. 101europee e italiane in materia, comprendendo anche gli aspetti di sicurezza.
Sei di questi progetti hanno già ottenuto il cosiddetto nulla osta di fattibilità dai competenti comitati tecnici regionali, sulla base delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, emanati in attuazione delle direttive europee cosiddette «Seveso».
Si osserva che le attuali prestazioni del sistema del gas italiano, per la carenza di infrastrutture di approvvigionamento, non sono compatibili con le richieste di gas che, in determinate condizioni, potrebbero verificarsi durante i «picchi» invernali di domanda.
Durante lo scorso inverno, in assenza dei tagli imposti alla domanda di gas al settore del riscaldamento domestico (che hanno comportato l'erogazione di meno 200 milioni di metri cubi) e al settore termoelettrico (meno 960 milioni di metri cubi) e delle misure di obbligo di massimizzazione delle importazioni e di uso della riserva strategica del gas, il sistema italiano del gas, nell'ultima fase invernale, avrebbe subito almeno tre episodi di distacco delle forniture di gas al settore industriale e forse civile, con gravissimi danni al tessuto economico e sociale.
Con riguardo ai terminali autorizzati, si precisa che due di essi sono ubicati offshore (quello a largo di Rovigo, costituito da una struttura di calcestruzzo posizionata sul fondale marino, e quello al largo delle coste toscane, costituito da una nave permanentemente ormeggiata). Dei sette progetti in istruttoria, solo uno è di tipo offshore.
Si segnala che l'ubicazione in mare dei terminali di rigassificazione, che comporta costi sensibilmente maggiori rispetto alla soluzione tradizionale in terraferma, è stata dettata dalla volontà di ridurre l'impatto territoriale, ottenere facilmente il consenso delle popolazioni interessate e migliorare le condizioni di sicurezza in caso di incidente.
La costruzione del terminale offshore, da installare a largo di Rovigo, è giunta al 45 per cento circa della sua realizzazione; sono state poste sotto sequestro dalla procura della Repubblica di Rovigo le opere di un'isola artificiale, realizzata temporaneamente in mare, al fine di poter usare il gasdotto dal terminale alla terraferma, evitando il più possibile gli impatti ambientali in fase di scavo nelle aree sensibili costiere, secondo quanto prescritto dal Ministero dell'ambiente, in attesa che siano verificate le compatibilità ambientali di tale opera temporanea.
La costruzione del terminale di Brindisi, per il quale si sta realizzando l'opera di colmata, incontra difficoltà dovute alle opposizioni locali, per le quali sono in corso riunioni tra i Ministeri interessati e gli enti locali coinvolti, al fine di ricercare una soluzione.
Se mi è permesso, vorrei fare presente all'onorevole interpellante che, in questo caso, si tratta non di qualche ambientalista, ma di un'opposizione trasversale che coinvolge i sindaci e i responsabili degli enti locali di diverso e variegato colore politico. Questo Ministero è ovviamente sensibile ed apre, dunque, una discussione, la cui soluzione vorremmo trovare in modo concordato con le popolazioni e con gli enti locali.
Il terminale offshore al largo delle coste toscane, come previsto, inizierà i lavori nei primi mesi del prossimo anno. Si stanno completando le istruttorie per il relativo gasdotto di collegamento alla rete di straporto nazionale.
Relativamente alla necessità di dotarsi di un piano energetico nazionale, si fa presente che l'esigenza segnalata da più parti di una carenza di scelte strategiche nel campo dell'energia ha già trovato una risposta nella recente istituzione di una «cabina di regia» presso la Presidenza del Consiglio, per analizzare i diversi temi che coinvolgono i settori energetico ed ambientale.
Ciononostante, mi corre l'obbligo di ricordare che, rispondendo ad un ordine del giorno presentato da un gruppo parlamentare sia alla Camera sia al Senato, che verteva sull'esigenza di definire un piano energetico, anche di lungo periodo, Pag. 102il Governo ha risposto positivamente e nei prossimi mesi garantiremo l'esecutività di questo nostro impegno.
Per quanto riguarda la «cabina di regia», una prima riunione si è tenuta lo scorso agosto, discutendo gli scenari di evoluzione della domanda nazionale di energia ed in particolare di quella di gas, nelle diverse ipotesi di andamento tendenziale e di interventi di efficienza e risparmio energetico, trovando l'accordo di tutti i ministri presenti.
La domanda tendenziale di gas è stimata in circa 99 miliardi di metri cubi di gas al 2010, che, per il concomitante calo della produzione nazionale, andrà coperta per 91,6 miliardi da importazioni. Se si tiene conto che le infrastrutture vanno dimensionate per la domanda di punta e che occorre avere una sovracapacità stimata al 20 per cento rispetto al valore necessario, sia per la sicurezza degli approvvigionamenti - in caso di riduzione delle forniture dall'estero, come abbiamo sperimentato lo scorso inverno - sia per consentire maggiore concorrenza e liquidità del mercato, con contratti di tipo spot, la domanda di infrastrutture da realizzare è stimata in circa 30 miliardi di metri cubi all'anno entro il 2009, seguiti da altri 10-15 miliardi di metri cubi annui entro il 2011.
Tale prima fase, che servirà anche a recuperare il deficit di infrastrutture sinora accumulato, è, in parte, realizzabile con i potenziamenti dei gasdotti di transito in Austria e in Tunisia (più 13 miliardi di metri cubi all'anno), con il terminale da installare a largo della costa di Rovigo (più 8 miliardi di metri cubi all'anno), in fase avanzata di costruzione, e con gli altri due terminali autorizzati e quelli in corso di istruttoria.
Se a questo obiettivo si aggiunge quello della diversificazione degli approvvigionamenti, che può essere ragionevole porre in una copertura, dal 2010 in poi, di un terzo della domanda di gas mediante GNL, in modo da contenere la dipendenza dalle forniture di gas da Algeria e Russia, da cui oggi importiamo il 59 per cento del consumo nazionale, allo stesso anno dovrebbero essere in esercizio terminali per una capacità di rigassificazione di circa 33 miliardi di metri cubi, rispetto ai circa 3,5 forniti dall'attuale unico terminale esistente, corrispondente ad almeno quattro nuovi terminali in esercizio.
A fronte di questi obiettivi, il Ministero dell'ambiente si è impegnato ad accelerare il completamento delle istruttorie di valutazione di impatto ambientale in corso per progetti di terminale di gas naturale liquefatto. Nel frattempo, si stanno valutando le iniziative anche con le regioni che devono fornire l'intesa sull'autorizzazione e con gli enti locali interessati alle ricadute sul tessuto economico e sulle comunità locali.
Nell'ambito di procedimenti di VIA in corso e delle verifiche di sicurezza e in relazione ai pareri delle regioni e degli enti locali interessati, sarà possibile determinare quali progetti di terminale di GNL potranno essere autorizzati.
La loro effettiva realizzazione dipenderà poi da una serie di fattori di mercato, essendo evidente che gli investitori e gli istituti finanziari procederanno a realizzare solo le infrastrutture effettivamente richieste dalla domanda di gas, per cui il numero effettivo di nuovi terminali realizzati nel corso del prossimo decennio dipenderà anche dai nuovi gasdotti effettivamente operanti nello stesso arco temporale.
Un aggiornamento della situazione nell'ambito della «cabina di regia» è previsto a breve scadenza.
PRESIDENTE. L'onorevole Ciccioli ha facoltà di replicare.
CARLO CICCIOLI. Signor Presidente, l'interpellanza in esame si propone di indurre il Governo ad affrontare con energia, considerato che stiamo trattando la questione dell'energia, questo problema.
Credo sia un settore strategico! Realizzare questi impianti significherebbe: diminuire il peso del petrolio che produce danni per la combustione ed è soggetto alla variazione dei costi al barile; cercare di differenziarsi per quanto riguarda l'approvvigionamento, per non essere ostaggio Pag. 103del metanodotto russo o di quello algerino o di altri che verranno costruiti, ed avere più possibilità di rifornimento; non andare incontro nel periodo invernale, quando aumentano le richieste di gas per la combustione e riscaldamento, a buchi di approvvigionamento e, comunque, ad un forte aumento dei costi per le penalità nell'aumento del consumo dei metanodotti.
È estremamente importante convertire la produzione dell'energia elettrica attraverso centrali a gas che creano scarsissimo impatto ambientale rispetto a quelle, per esempio, a combustione o alimentate con il combustibile solido o altro petrolio.
Quindi, vi sono una serie di fattori concomitanti in positivo per raggiungere questo scopo. Credo non si possano mantenere i tempi ordinari; la cabina di regia deve porsi l'obiettivo di restringere i tempi. Non è possibile che trascorrano anni da quando si chiede l'autorizzazione, iniziano i lavori ed entra in funzione l'impianto.
È un problema strategico per l'Italia.
Mi si dice che, talvolta, vi è un certo atteggiamento da parte dell'ENI che non è molto favorevole alla realizzazione di questi impianti, essendo sostanzialmente monopolista del settore. L'ENI è una società che ha una grande considerazione per il ruolo che svolge, ma è uno dei fattori che dobbiamo tenere in considerazione.
Sono parzialmente soddisfatto della risposta del sottosegretario. Sono soddisfatto, perché la risposta è stata molto articolata, dettagliata e approfondita dal punto di vista tecnico, ma insoddisfatto per quanto riguarda la calendarizzazione vera dei tempi, al di là degli ostacoli oggettivi.
Sicuramente, cercare consenso per la realizzazione di questi impianti è uno scopo che va raggiunto, ma non al prezzo di rinviare in eterno l'autorizzazione alla costruzione degli impianti stessi.
(Problemi occupazionali presso le società Datamat ed Elsag - n. 2-00236)
PRESIDENTE. Il deputato Zipponi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Giordano n. 2-00236 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7), di cui è cofirmatario.
MAURIZIO ZIPPONI. Signor Presidente, con questa interpellanza parliamo di aziende che fanno parte del patrimonio industriale italiano. La Datamat e la Elsag sono società nel panorama italiano dell'information tecnology che operano nel settore da molti anni.
La Datamat, in particolare, da oltre trenta anni opera nella progettazione e realizzazione di soluzioni in diversi segmenti di mercato: difesa, spazio, pubblica amministrazione, banche, finanza, assicurazioni, telecomunicazioni, media e utility.
La diversificazione del business ha permesso nel corso della sua storia di superare brillantemente le diverse congiunture negative che hanno interessato la vita economica del nostro paese. Queste scelte hanno determinato in passato la difesa dei livelli occupazionali della società stessa.
A luglio 2005, il gruppo Datamat viene acquistato da Finmeccanica Spa, azienda a partecipazione statale, di cui lo Stato italiano mantiene la golden share.
Il 9 marzo 2006, Finmeccanica ha ufficializzato l'avvio della fusione per incorporazione della Datamat nell'Elsag, nominando un unico amministratore delegato che, a pochi giorni dalla sua nomina, dichiarò che, sia per il gruppo Elsag, sia per la Datamat (aziende delle quali, peraltro, era già stata decisa la vendita) non vi sarebbero stati investimenti nel settore civile.
Il 4 aprile 2006, i lavoratori di Datamat hanno scioperato, dando corpo ad un presidio di fronte alla sede della Finmeccanica, a cui hanno preso parte anche alcuni lavoratori della Elsag di Genova.
Dopo lo sciopero, Finmeccanica ha proposto ai lavoratori della Datamat e della Elsag un incontro con i sindacati. In quella sede, ha presentato dei dati relativi all'integrazione nei quali mancavano all'appello più di mille lavoratori; nel frattempo, circolavano insistenti voci, secondo cui Alberto Tripi, proprietario dei call center, sarebbe stato interessato, attraverso il Pag. 104gruppo Cos, all'acquisto. Il signor Tripi è anche proprietario dell'azienda Atesina, nella quale, come era già stato precisato in una precedente interrogazione del 15 giugno 2006 dei sottoscritti interpellanti, fa uso ricattatorio di tutte le forme di flessibilità, di bassi salari, di licenziamenti discriminatori e di amicizie politiche.
Nell'epoca dell'informatica e delle telecomunicazioni la Datamat e la Elsag potrebbero costituire davvero un importante polo informatico italiano, operante, a giusto titolo, a livello internazionale; in nessun settore produttivo, ma tanto meno in quello dell'ICT, si può accettare un altro «spezzatino» industriale, con annesse operazioni finanziarie.
Chiediamo dunque quali iniziative intenda adottare il Governo, in qualità di azionista di riferimento della Finmeccanica Spa, affinché vengano date reali garanzie per il mantenimento dei livelli occupazionali e per impedire che politiche di speculazione finanziaria nel migliore dei casi indeboliscano la struttura industriale delle società citate e come il Governo intenda intervenire nel settore informatico e dei servizi sia per il ruolo che dovrebbe avere Finmeccanica che per vicende, come Elsag Gest o Getronics, che sono il segno dell'interesse nazionale in un settore delicatissimo come l'informatica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Alfonso Gianni, ha facoltà di rispondere.
ALFONSO GIANNI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, la Datamat è un'azienda attiva nella fornitura di sistemi e soluzioni informatiche per specifici segmenti di mercato.
Il gruppo è costituito da una capogruppo organizzata in tre divisioni che, insieme a consorzi specializzati ed a società controllate e collegate, operano nei seguenti mercati: difesa, spazio, pubblica amministrazione, banche e assicurazioni, telecomunicazioni, media e utility.
La Finmeccanica, come noto, è leader in Italia nel campo delle costruzioni aeronautiche, satellitari ed elettroniche per la difesa. Attraverso le controllate Elsag e Selex Sistemi integrati, la stessa collaborava già da tempo con la società Datamat su importanti progetti. La Finmeccanica ha acquistato ulteriori azioni ordinarie della Datamat Spa e avendo superato la soglia del 90 per cento di partecipazione ha promosso un'offerta pubblica di acquisto residuale ai sensi dell'articolo 108 del Testo unico della finanza.
In riferimento alle richieste sollevate nell'interpellanza di cui all'oggetto, risulta a questa amministrazione che, nel luglio 2006, è stato presentato dall'azienda un piano industriale che non prevede disinvestimenti nel settore civile.
Il piano, infatti, prevede oltre 100 miliardi di investimenti nei settori definiti di core business dell'azienda: automazione, sicurezza e trasporti; logistica civile, informatica, difesa e spazio.
Non risulta a quest'amministrazione l'esubero indicato nell'interpellanza. Risulta, al contrario, che è stato ribadito nel recente incontro, tenutosi presso l'Unione industriali di Roma tra azienda e sindacati, che la società non presenta esuberi strutturali.
Quanto alle affermazioni riguardanti l'ipotesi di una vendita di settori di attività della Elsag Datamat si fa presente quanto segue.
Nel piano industriale presentato dalle aziende si fa riferimento alla possibilità di partnership nei settori definiti di non core business dell'azienda: servizi per banche, finanza e assicurazioni. In questo quadro, l'azienda ha avviato indagini per la ricerca di eventuali partner e ha evidenziato l'interesse di diverse società.
Tali società hanno svolto una management presentation e ad esse è stata richiesta un'offerta vincolante, ma tale fase non è ancora conclusa. Le condizioni per l'eventuale trattativa di cessione sono quelle del protocollo IRI, che prevedono, tra l'altro, il mantenimento dei livelli occupazionali per tre anni.
Risulta che, nel frattempo, è intervenuta solo la cessione alla Data Management delle attività della Elsag Gest che eroga servizi per paghe e stipendi.Pag. 105
La situazione del mercato dell'ICT è oggetto di costante monitoraggio da parte del Ministero dello sviluppo economico, sia in considerazione della evidente valenza del settore nel panorama economico nazionale, sia per le vicissitudini che l'hanno caratterizzata in questi ultimi anni; vicissitudini segnate da una negativa evoluzione del mercato, che hanno portato alla crisi e alla fuoriuscita di molte imprese del settore. In tale contesto, il ministero cerca di favorire l'integrazione tra più operatori, al fine di far emergere una struttura nazionale solida e qualificata.
Al momento non è dato sapere se tra i possibili acquirenti va annoverato anche il gruppo Cos/Finsiel, che negli ultimi anni ha ampliato la sua presenza sul mercato informatico.
PRESIDENTE. L'onorevole Zipponi, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.
MAURIZIO ZIPPONI. Signor Presidente, non sono soddisfatto della risposta e, soprattutto, non possono ritenersi soddisfatti i lavoratori di questa azienda.
Nei giorni scorsi, i dirigenti della Datamat e dell'Elsag hanno confermato la volontà di cedere il settore banche e finanza entro l'anno. Tale decisione non va bene alla Finmeccanica in quanto, pur apprezzando ciò che anche il suo massimo rappresentante, Guarguaglini, ha affermato in Commissione attività produttive - cioè che si tratta di una azienda che investe in ricerca, di una azienda in grado di farsi largo nel mercato mondiale sui prodotti che costruisce -, effettivamente un'azienda che basa le sue attività nel settore difesa risentirà del fatto che rischia di essere legata ad un'attività particolare. Invece, il carattere duale delle attività con Finmeccanica - sia il settore militare sia quello civile - sarebbe una garanzia rispetto ad un andamento e ad uno sviluppo equilibrato della stessa azienda, anche per fornire le garanzie occupazionali oltre i tre anni previsti dall'accordo IRI nel caso di cessioni di rami d'azienda o di aziende specifiche.
Tale decisione non va bene a Finmeccanica anche perché il ramo di attività che oggi fa capo alla Datamat e all'Elsag, è in crescita. Quindi, se la Finmeccanica è capace di realizzare elicotteri, carri armati, sistemi spaziali e quant'altro, non si capisce perché non debba essere capace di far funzionare e di rendere redditive aziende di informatica che poi servono alla stessa Finmeccanica.
Quindi, non va bene a Finmeccanica, non va bene ai lavoratori della Datamat e dell'Elsag e, se ci fosse addirittura il gruppo Cos di Alberto Tripi, saremmo alla frutta, vale a dire al punto finale per queste aziende, perché sappiamo che questo gruppo ha dato vita, quale chiave della sua capacità imprenditoriale, unicamente alla precarietà a bassi costi. E sappiamo che, in un'azienda che fa della professionalità del lavoro la propria chiave di presentazione sul mercato, la precarietà è esattamente nemica della professionalità.
Pertanto, prendiamo atto che la decisione di vendita non è vincolante per la Finmeccanica, tuttavia chiediamo che le attività di banche e finanza siano attività strategiche all'interno del perimetro della nuova azienda che nascerà dal processo di integrazione tra la Elsag di Genova e la Datamat di Roma.
Sappiamo che il Governo non può sostituirsi alle decisioni del consiglio di amministrazione, degli amministratori delegati e dei presidenti delle aziende, ma sicuramente può dire cos'è politica industriale in questo paese.
I recenti precedenti consigliano alla Finmeccanica un ripensamento, in quanto vi è stata la cessione dell'Elsag Gest di Napoli (una società della Finmeccanica) venduta alla Data Management - tutti nomi inglesi che nascondono il fatto che vi sono imprenditori che hanno acquistato senza soldi -, che attualmente è in grave difficoltà finanziaria. Ciò ha comportato una forte agitazione da parte dei lavoratori di Napoli, visto che la Finmeccanica ha ceduto ad un'azienda che non è in grado, né sul piano finanziario né su quello imprenditoriale, di fornire garanzie. Pertanto, è necessario che la decisione di Pag. 106vendita della Elsag Gest rientri e che la Elsag e la Datamat siano integrate nella nuova azienda Finmeccanica. È un errore che la Finmeccanica non provi a far funzionare tali aziende, è un errore consegnare queste aziende di informatica a imprenditori inventati e poco credibili.
Infine, credo che il Governo debba pensare ad una propria politica industriale nel settore dell'information technology, in quanto il ministro Bersani sta presentando in giro per l'Italia un documento intitolato «Industria 2015», ma se da qui al 2015 si ripetono esempi di questo tipo, avremo il problema di discutere di quali industrie si stia parlando, se proprio il settore dell'informatica viene consegnato a multinazionali o a imprenditori inventati.
Inoltre, il Governo è pienamente a conoscenza del problema riguardante 1.500 lavoratori della Getronics, azienda che si occupa dei sistemi informatici delle più importanti istituzioni, che è stata consegnata ad un imprenditore che proviene da esperienze imprenditoriali poco nobili (faceva filmini pornografici). Quindi, è necessario un nuovo assetto proprietario per questa azienda che - insisto - ha in mano i sistemi informatici di ministeri e di intere regioni. Occorre che altri imprenditori si aggiungano a chi ha acquistato Getronics per dar vita ad un nuovo piano industriale da condividere con le organizzazioni sindacali. Ciò è possibile perché queste aziende operano su licenze, operano quindi su autorizzazioni e dunque il Governo, senza invadere le prerogative di ciascuna azienda, può fornire indirizzi e chiedere riscontri e garanzie.
Pertanto, vi è la necessità di convocare le parti sociali per indicare loro quali sono le linee di politica industriale del Governo nel settore dell'information and communication technology. Serve una selezione di chi si propone per gestire settori così delicati. Tale selezione si dovrebbe basare sulla solidità finanziaria, sull'esperienza nel settore e sulla capacità di riconoscere valore alle professionalità dei lavoratori.
Dunque, progettare l'industria nel 2015 serve se, da subito, si interviene in settori fondamentali, in quanto l'Italia è un paese manifatturiero che però ha bisogno di settori importanti come quello dell'information technology.
(Gara internazionale bandita dalla Sogin per il ritrattamento del combustibile nucleare presente in Italia - n. 2-00244)
PRESIDENTE. L'onorevole Lion ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00244 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).
MARCO LION. Signor sottosegretario, fino al 2004, gli indirizzi strategici per la gestione del combustibile nucleare erano regolate dal decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 7 maggio 2001 che, all'articolo 2, lettera b), prevedeva di completare gli adempimenti previsti nei contratti di riprocessamento sottoscritti con la BNFL (British Nuclear Fuel Ltd) e immagazzinare il restante combustibile irraggiato in appositi contenitori a secco nei siti delle centrali, dove sono allocati in attesa di trasferimento al deposito nazionale. Questo decreto formalizzava le decisioni prese con l'accordo del 1999 tra Governo e regioni ed allineava l'Italia alla quasi totalità dei paesi che utilizzano l'energia nucleare e che, progressivamente, hanno abbandonato la pratica del ritrattamento o del riprocessamento, pratica inquinante motivata soprattutto dall'estrazione del plutonio che, come lei sa, è una sostanza usata in campo militare.
Nell'ambito di questa strategia, la Sogin aveva indetto una gara di fornitura per contenitori dual-purpose, idonei sia per lo stoccaggio che per il trasporto, che fu vinta nel 2000 dalla società GNB con i suoi cask tipo Castor con versioni specifiche ottimizzate per il combustibile irraggiato di Trino, Caorso e Garigliano. Il contratto, stipulato il 12 maggio 2000, per la durata di settantadue mesi estensibili ad altri dodici, prevedeva la fornitura di 10 cask modello X/A17 (6 per Trino e 4 per Garigliano) e 20 cask modello X/B52 per Caorso, ad un costo di 1.100.000 euro per Pag. 107contenitore, prezzo già allora ritenuto conveniente per forniture di questo tipo. Nel 2003, la Sogin ha aperto al suo interno una fase di riflessione sulla strategia e, in quell'anno, ha deciso autonomamente di congelare il contratto di fornitura dei cask. Nell'agosto del 2004, questa società ha proposto formalmente di cambiare strategia e, quindi, di utilizzare l'azione del ritrattamento all'estero anche per il rimanente combustibile nucleare presente in Italia. La formalizzazione del cambio di strategia è avvenuta con il decreto del ministro delle attività produttive del 2 dicembre 2004, ma, soprattutto, con la direttiva dello stesso Ministero del 28 marzo 2006, indirizzata alla Sogin, con la quale si invitava questa società a valutare la possibilità di un'esportazione temporanea, ai fini del trattamento del combustibile attualmente stoccato presso le centrali nucleari italiane, ove fattibile sotto il profilo tecnico e conveniente sotto il profilo economico. Nel corso del 2006, si è conclusa la procedura di gara internazionale per il riprocessamento delle 235 tonnellate di combustibile nucleare ancora presenti in Italia ed è risultata vincitrice la francese Areva Nc per un importo di 267 milioni di euro. Lo scorso 24 novembre, è stato firmato l'accordo intergovernativo Francia-Italia.
Con questa interpellanza, si chiede al Governo se risponda al vero che l'importo richiesto da Areva Nc sia di 267 milioni di euro; quali sono i termini dell'accordo con il Governo francese sui modi e sui tempi del rientro del combustibile che verrebbe inviato in Francia. In particolare, si chiede se nei 267 milioni di euro sia previsto anche il costo del trasporto di ritorno o se questo sarà un costo aggiuntivo a carico del nostro paese e quale sarà l'importo di questo ulteriore onere; se si ritiene che l'importo di 267 milioni di euro sia congruo o se sia stata fatta un'analisi di convenienza economica rispetto alla soluzione alternativa, cioè lo stoccaggio a secco nei termini in cui questa soluzione viene praticata in altri paesi. Si chiede, poi, se questo contratto comprenda la quota di plutonio italiano attualmente presso il Superphenix, reattore autofertilizzante a suo tempo partecipato da Enel per il 33 per cento e definitivamente chiuso nel 1997 e, in caso contrario, quale sia il destino per questo plutonio; se risponda al vero che le quantità di uranio fissile e plutonio provenienti dal pretrattamento del combustibile che verrà inviato in Francia, in base al succitato contratto, verranno consegnate alla Sogin nel caso in cui la parte francese non ritenesse possibile alcun utilizzo in Francia e ritorneranno così in Italia. Se l'eventuale possesso di quantitativi di plutonio sia consentito dal trattato di non proliferazione nucleare; se sia stato fatto un piano per il rientro delle scorie ritrattate, dove verrebbero collocate anche temporaneamente e quali sarebbero, e a carico di chi, i costi del trasporto nucleare e se, in alternativa, siano stati avviati contatti in Gran Bretagna per avere delle ulteriori proroghe per la restituzione di altro materiale ritrattato e quali sarebbero i costi associati alla proroga.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Alfonso Gianni, ha facoltà di rispondere.
ALFONSO GIANNI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Per la verità, signor Presidente, per la quantità di domande che l'onorevole Lion mi ha rivolto, sembra di partecipare ad uno di quei concorsi a quiz al termine dei quali si vinceva il premio più grande. Non so se sono in grado di soddisfare interamente gli interpellanti, anche perché qui il premio non è previsto. Posso solo svolgere alcune considerazioni.
Il contratto con la Francia per il riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato proveniente dalle centrali di Caorso, Garigliano e Trino Vercellese prevede un importo a favore della società francese Areva pari, come hanno evidenziato gli interpellanti, a 267 milioni di euro. Tale importo comprende il costo di trasporto per l'invio in Francia, ma non i costi del trasporto per il rientro in Italia, che sono attualmente valutabili in circa 4 milioni di euro e che saranno a carico del Pag. 108nostro paese. Il corrispettivo per le operazioni da compiere risulta definito dagli esiti della gara internazionale bandita dalla Sogin Spa ed è pertanto da ritenersi congrua. La strategia di gestione del combustibile irraggiato, basata sul riprocessamento all'estero, è stata disposta con decreto dell'allora Ministero delle attività produttive del 2 dicembre 2004 e prevede valutazioni comparative dei costi sostenuti nel breve e nel lungo periodo, nell'esigenza di sicurezza e di tutela dell'ambiente dei tempi necessari.
È da ritenersi che le valutazioni comparative effettuate abbiano assunto dati certi, per quello che attiene al riprocessamento all'estero, e dati ipotetici, per quello che attiene allo stoccaggio a secco. Un confronto economico tra le due opzioni risulta pertanto incerto. La trattativa per un accordo intergovernativo fra Italia e Francia sul riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato italiano si è di fatto conclusa il 24 novembre, nell'ambito del vertice italo francese di Lucca con la firma di un accordo che prevede il rientro in Italia dei contenitori con i rifiuti radioattivi nell'intervallo di tempo compreso fra il 2020 e il 2025 e con una durata di trasferimento stimata a circa un anno. L'accordo prevede anche un impegno del Governo italiano ad allestire le soluzioni più idonee per stoccare, in condizioni di sicurezza, i contenitori che, tra il 2020 e il 2025, rientreranno in Italia. Tali soluzioni saranno individuate con il necessario supporto tecnico scientifico assicurato da professionalità di alto profilo e con procedure di assoluta trasparenza. Le decisioni inerenti a problematiche di tale rilevanza per il nostro paese verranno assunte con la partecipazione e il protagonismo di tutti i soggetti coinvolti attraverso una rigorosa e proficua concertazione. Riguardo al combustibile irraggiato in corso di riprocessamento presso gli impianti inglesi della BNFL, a Sellafield, i recenti accordi commerciali tra la Sogin Spa e la società inglese del maggio 2006 possono far ipotizzare il rientro in Italia dei vetri prodotti dal marzo 2015. Non viene esclusa la possibilità di prorogare a tariffa commerciale lo stoccaggio a Sellafield.
PRESIDENTE. L'onorevole Lion ha facoltà di replicare.
MARCO LION. Mi dichiaro parzialmente soddisfatto o parzialmente insoddisfatto, a seconda della prospettiva per la quale si vuole vedere il bicchiere, se mezzo pieno o mezzo vuoto.
Credo che questa «patata bollente» oltre che - è il caso di dirlo - radioattiva delle scorie, sia transitata dal Governo Berlusconi al Governo Prodi, lasciando inalterate molte perplessità e senza risposta molti quesiti. Soprattutto, si è lasciata la gestione di questa partita alla Sogin e alla sua attuale dirigenza, della quale avemmo modo di dire - quando eravamo all'opposizione durante il Governo Berlusconi - che ci rendeva insoddisfatti.
La questione è ribadita con questa strategia del riprocessamento che, dal punto di vista scientifico e ambientale, non ci convince. Infatti, non capiamo perché in Italia si fa così quando in altri paesi - pur importanti e che hanno gli stessi nostri problemi di scorie e quant'altro -, si è scelta la pratica dell'immagazzinamento a secco del combustibile irraggiato.
Dunque, sono sorte perplessità, specialmente nel mondo ambientalista, in particolare rispetto al costo gigantesco di questa operazione. Infatti, quando si parla della necessità di ritornare all'energia nucleare questi costi non vengono mai considerati: vi sarebbe tutto il problema dello smaltimento delle scorie che, ad oggi, non risulta risolto.
Con riferimento a questa strategia, che si è modificata nel corso degli anni grazie alla Sogin - e anche i dati economici ci danno ragione -, occorre esaminare nel dettaglio ciò che è successo e fare il punto della situazione. Lei, signor sottosegretario, parlava di un confronto economico incerto fra la strategia del riprocessamento e quella dell'immagazzinamento a secco. Sarebbe ora, invece, che questo confronto economico venga seriamente Pag. 109fatto, visto che altri paesi utilizzano l'altro sistema.
Infatti - lo ripeto - vi è un problema che riguarda la gestione del plutonio che si ricava dal riprocessamento. Questo materiale, come sappiamo, serve per costruire le testate nucleari e quindi la questione coinvolge anche aspetti di ordine militare. Inoltre, vi è ancora un problema legato alla società Sogin e alla sua dirigenza. Diversi parlamentari hanno chiesto l'istituzione di una Commissione d'inchiesta rispetto a quello che ha fatto la Sogin in questi anni ed io mi associo alla loro richiesta.
Vi è dunque un problema di gestione di una partita estremamente delicata che ha sconvolto una parte del nostro paese. Penso a quando si decise, improvvidamente e senza ragioni scientifiche valide, di creare un deposito geologico di scorie nucleari a Scanzano, in Basilicata. Pertanto, giudichiamo quella gestione totalmente insoddisfacente.
Ritengo che sia stata ancora più insoddisfacente in questo caso, perché le scorie nucleari non si possono far viaggiare per l'Europa, tra l'Italia, la Francia e l'Inghilterra, e poi perché non si può abbindolare il nostro paese com'è successo giusto due anni fa, quando i giornali titolavano che era risolto il problema delle scorie nucleari in Italia mandando tutto all'estero. In realtà, si erano dimenticati di rivelare l'ultima parte e cioè che tali scorie sarebbero poi tornate in Italia con il problema radioattivo e sanitario inalterato.
Concludo, lasciando al Governo questa riflessione: non possiamo continuare ad essere soggetti alla decisione di una società e della sua dirigenza nell'affrontare un problema politico ed ambientale di notevole spessore che va affrontato nelle sedi proprie, cioè in Parlamento e nel Governo.